ToFeelNotToKnow! ovvero Dove
sta la sicurezza?
Poche righe per recuperare una prospettiva sulla sicurezza
stile uovo di Colombo. Nessun consiglio. Nessun esperto. Nessuna
verità definitiva. Nessuna tecnica, né Sapere, nessuna
scoperta, né nuova idea. Solo una precisazione: capire non
basta.
Andersen
Quando "andersen", il primo uomo che si mise due legni
sotto i piedi per muoversi meglio nella neve, ad un certo punto
incontrò un pendio eccessivo, si cavò i legni e proseguì a
piedi. L'idea d'aver rischiato di rompersi un femore non la
conobbe mai. Non aveva bisogno di conoscenze tecniche per
adattare il suo comportamento allo scopo della sicurezza. Aveva
solo "sentito" l'eccesso. Quel "sentire"
passa attraverso le orecchie della Relazione con l'ambiente, Sé
incluso.
Il modo di comportamento del "vecchio andersen" non
è qualcosa che possiamo imitare, non è neppure qualcosa che è
qui richiamata per proporla quale alternativa alle tecniche di
sicurezza. E' soltanto invece un modo che fa già parte del
nostro personale modo di fare. Perché allora richiamarlo
all'attenzione? Semplicemente perché l'attuale cultura – per
la quale è possibile osservare che è sbilanciata verso il
tecnicismo – non valorizza, anzi, è come se tendesse ad
obnubilare, certe intelligenze animali e quindi umane. Tanto per
fare un esempio, oggi, per la maggioranza delle persone sentire
e capire sono sinonimi; credono che concentrarsi significhi
pensare intensamente a qualche cosa; non sono in grado di
muoversi se non dopo valutazioni esclusivamente razionalistiche
(tipico è il foglietto con le due colonne, una dei
"pro" e una per i "contro"), vale a dire che
quanto sentono non è soppesato, non partecipa consapevolmente
alla scelta dell'azione da fare. Tutto ciò non accade soltanto
in circostanze scialpinistiche, accade "vita natural
durante". Quante volte ci è capitato, sciando, di fare una
curva cercando di ricordare o di seguire le indicazioni del
maestro di turno senza perciò essere in grado di farci guidare
dalle sensazioni emotivo-corporee che continuativamente ci
arrivano e che continuativamente e inconsapevolmente castriamo?
In funzione di questa osservazione, che vorrebbe evidenziare
l'attuale tendenza culturale, prende significato il richiamare
quanto quella stessa forza focosa e ribollente tende a
tralasciare: la relazione con sé e l'ambiente.
Munter
Il metodo Munter, per esempio (n.d.r.: questo metodo serve a
definire gli itinerari scialpinistici in funzione delle
condizioni della neve, dell'esposizione del pendio e di altri
fattori oggettivi). Per la maggioranza delle persone, esperti
inclusi, il metodo è vissuto a mo' di dottrina: questi sono gli
elementi, questi sono i conti dei parametri, questo è il
risultato e quindi questo è il rischio. Per quanto ci riguarda,
non vi è nulla di più dimostrativo di quanto andiamo
sostenendo e nulla, perciò, di più fuorviante dalla migliore
interpretazione o impiego di uno strumento.
Già, un intero metodo, piuttosto che una qualunque altra
informazione spicciola, per esempio quella raccolta sul posto al
momento della partenza, non dovrebbe essere impugnato
dogmaticamente. Dovrebbe invece entrare in circolo affinché si
coniughi continuativamente al flusso di informazioni interne,
oltre a quelle raccolte dalla semplice osservazione tanto degli
elementi circostanti, quanto di quelli già presenti in noi.
Aladin
Quando un Tuareg si avvia alla traversata insieme alla sua
carovana, non ripassa il manuale di deserto, di tempesta di
sabbia o di sopravvivenza sahariana. La cultura con la quale è
cresciuto, nella quale si identifica (senza alcun processo di
razionalizzazione), è la sede della sua sicurezza. Una cultura
necessariamente coniugata, scaturita e formata dalla relazione
con l'ambiente.
Per lo stesso motivo un camoscio sente quando poter
attraversare una colata ghiacciata e quando no. E' per questo
nocciolo che l'alpinismo è atto culturale, non sportivo.
Con le stesse modalità del Tuareg ogni giorno guidiamo la
macchina e conduciamo la vita. Davanti ad una curva ghiacciata
adottiamo un comportamento utile solo se determinato dalla
relazione con "tutti" gli elementi in gioco, colti,
intuiti, razionalizzati, consci ed inconsci. La Tecnica, la
Conoscenza stessa, se l'atteggiamento è tarato sull'ascolto,
diviene elemento pari agli altri e con essi coniugato, quindi
tendenzialmente sfruttata al meglio. Non è certo ripetendo
pedestremente quanto dice, o non dice, il cartello stradale che
realizziamo la massima sicurezza. Come potremmo evitare una
sbandata se non usassimo come riferimento il sentire e la
ri-creazione in sostituzione del sapere fornitoci dal cartello
se dogmaticamente interpretato?
Ognuno di noi può condividere che davanti ad un passo
pedonale oltre al verde del semaforo è opportuno dare
un'occhiata in giro, ovvero, valorizzare anche le informazioni
scaturite dalla relazione piuttosto che quelle preconfezionate.
Attraverso questo modo, qualche sciatore si preoccupa di
fermarsi a bordo pista o comunque non in mezzo ad una strettoia
o a valle di un dosso; qualche altro di ripartire solo dopo aver
guardato a monte per verificare "spericolati dal controllo
precario" in arrivo; di regolare la velocità a seconda del
grado di ressa del momento. Solo qualche sciatore perciò si
preoccupa di adottare un comportamento in relazione alla
situazione.
Spesso poi, lo sci-alpinismo è insegnato in quanto tecnica,
non in quanto attività culturale che si avvale di una certa
tecnica; che si attua in un certo ambiente dal quale non si può
prescindere se si vuole tendere a formare consapevolezze utili
ad alzare la sicurezza.
Walter
Già Bonatti si era accorto che non era la pistola la fonte
della sicurezza per muoversi in ambienti selvaggi. Già Messner
aveva messo in risalto il significato del ri-percorso storico
come centro della ricchezza e della forza. Della sicurezza. Già
Gogna aveva assunto come perno della prospettiva la
ri-creazione. Fatto individuale, mai massificabile, sinonimo di
bellezza, di vita. Già Guerini vide il Gioco su terreni tanto
seri. Solo quando la sicurezza dell'incrocio passa dal verde di
quel semaforo all'ambiente, possiamo attraversare con il rosso a
"rischio zero". Diversamente, si tende ad alzare il
rischio: l'avvento dell'imprevisto.
L'imprevisto tende a provocare sorpresa. Nella sorpresa lo
spazio creativo e ridotto, il rischio di scelta inidonea si
alza.
La relazione contiene il massimo potenziale d'innalzamento
della sicurezza, indipendentemente dalle conoscenze tecniche e
dall'abilità motoria di cui disponiamo. Quindi il famoso
turista giapponese che esce dal rifugio Torino in scarpe da
tennis non adotta, di per sé, un comportamento rischioso. Noi
stessi "esperti" sci-alpinisti potremmo fare come lui.
Giapponesi ed alpinisti tendono ad alzare il rischio se il
comportamento è adottato senza tener conto degli elementi e
delle richieste che l'ambiente e il sé continuativamente
offrono e cangiano.
Vi ricordate quando su un sentiero qualunque si alza lo
sguardo per osservare in giro? Vi ricordate che s'inciampa
subito? La non relazione, a qualunque livello, alza la
possibilità dell'imprevisto, della sorpresa, riduce l'habitat
della creatività: la sola energia capace di re-inventare la
soluzione appropriata, di scegliere tra tecniche specifiche (se
se ne hanno) o di combinarle in modo inusuale o nuovo.
La considerazione che, allora, sono le tecniche che riducono
la possibilità del panico, apparentemente contraddizione del
discorso, perde di portanza se si prende coscienza che la logica
della sicurezza-nella-relazione non vuole essere una alternativa
alla logica della sicurezza-nella-conoscenza. Vuole solo
puntualizzare che, per quanto già tutti noi ci si comporti in
funzione delle informazioni raccolte attraverso la relazione con
l'ambiente, e non solo nell'alpinismo, quando parliamo di
sicurezza, esperti inclusi (e primi responsabili) frequentemente
utilizziamo un linguaggio che non contiene né sottolinea la
dimensione culturale - della relazione appunto -. Nelle nostre
espressioni si trova piuttosto l'induzione a pensare/credere che
la sicurezza stia nel materiale e nelle tecniche. Due cose fuori
da noi, acquisibili e nelle quali – inconsapevolmente –
rimettiamo la nostra sicurezza. E' da qui che nasce l'idea che
spittare – parlando di scalata - alza la sicurezza è da qui
che il Gps sembra indispensabile. "Giusto"! A patto
che gli scalatori ri-cerchino in sé e non fuori da sé il nodo
della sicurezza. "Sbagliato"! Se avvicina
inconsapevoli persone tarate secondo il positivistico volere è
potere.
Vacis!
Una prevaricazione della dimensione razionale e una cultura
intellettualistica, quale è la nostra, non favorisce il
recupero di una identità corporea, del valore dell'ascolto,
della relazione come principio delle cose. Siamo quindi esseri
intossicati dalle idee. Con la respirazione spesso superficiale.
E' una corrente che ci travolge. Infatti è definitivamente
passato il concetto di sport anche per le attività che si
svolgono in ambienti aperti e tempi ampi. Entro questa apparente
innocua estensione dell'accezione, dal campo da tennis alla
parete nord, convive simbioticamente una proposta
d'atteggiamento inadeguata e contraddittoria per alzare la
sicurezza. La sportivizzazione, il prestazionalismo,
l'attenzione alla "Quantità" delle cose, materiali
ultima generazione, equipaggiamento come da pubblicità,
"ce l'ha fatta mia sorella devo farcela anch'io", le
tecniche concepite come il fondamento per frequentare le
montagne non fanno che spingerci lontano dal centro: la nostra
motivazione, la nostra dimensione, la nostra libertà
gratificata. Quando Messner scalava la Prima Torre del Sella con
le scarpe da tennis (poi le ha passate al giapponese), in molti
(tutti?) ridevamo. Lo deridevamo come si farà poi fuori dal
Torino, cioè ritenevamo che quanto sapevamo già corrispondeva
a tutto quanto ci sarebbe stato da sapere. Nella fattispecie,
che la verità è definitiva.
Che morale dunque? Parlare di sicurezza in questi termini è
maggiormente efficace che limitarsi a citare il famigerato
"rispetto per la montagna" o il contemporaneo alter
ego di "natura amica". La natura è la natura, per
cavalcarla bisogna sentirla. Accedere a se stesso prima che alle
tecniche, permette ad ognuno di riconoscere la sede del
problema. Per riconoscere quali preconcetti si stanno
impiegando. Permette di aggiornare il linguaggio, di cogliere il
vero nel patrimonio della propria memoria/esperienza "senza
più" cercare di ricordare "cosa ha detto di fare
l'istruttore in questi casi?", di pensare che la
lacerazione mente/corpo-natura/cultura possa avere un'opportunità
di riduzione. Nessuno più dal Torino scivolerà dentro un
crepaccio… neanche in minigonna.
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